giovedì 15 dicembre 2011

Cairo 678


Venerdi' 9 Dicembre era il giorno dei Diritti Umani 2011.
Le Nazioni Unite, l'Unione Europea, il Festival del Film e il Forum Internazionale sui Diritti Umani lo festeggiavano con la première belga di un film di Mohamed Diab, Cairo 678.

Io c'ero (una volta tanto) e consiglio veramente a tutti la visione di questo film. Agli egiziani per una bella panoramica su che cosa vuol dire essere donna e smetterla di nascondere la testa sotto la sabbia in questioni per lo più considerate tabù o, meglio, catalogate nell'infinita lista del "non ne parlo quindi non esiste"; agli "occidentali" per rendersi conto di quanto coraggio e spinta innovativa ci siano in una società frequentemente ritenuta arretrata e non pronta per i valori della democrazia (sic).


Il film parla di molestie sessuali.

E' la prima opera cinematografica di un (bel!) ragazzo che non ha paura di occuparsi di donne in una società dove la donna è troppo spesso considerata un oggetto. Né più né meno che nella nostra, di società, solo in modo diverso. "Il film è talmente delicato e al tempo stesso potente che sembra fatto da una donna. Ed è un complimento" dice l'intervistatore a Mohamed Diab, che risponde "grazie, non potevo riceverne uno migliore".

E' la storia di tre donne unite dal comunissimo destino della mano morta, del commento pesante, dell'appoggio, della palpatina (veniali, no, per noi italiani? siamo abituati a sentirne parlare dai primi ministri nelle conferenze stampa internazionali), delle telefonate, dello stalking, dell'esibizionismo, del mobbing, dell'aggressione più violenta, dello stupro.


Non vi racconto nulla del film, ma posso dire che fa sorridere, commuovere, arrabbiare, applaudire. Si respirano il Cairo bene e il Cairo più popolano, la sua polvere, il caldo, la sovrappopolazione, i rapporti uomo-donna, più vicini ai canoni occidentali che mai; le speranze dei giovani, le preoccupazioni dei genitori, la noia, l'indifferenza, le frustrazioni.


E' uscito nelle sale un mese prima del 25 Gennaio 2011, il giorno in cui è iniziata la Rivoluzione, e ne puo' essere facilmente la sua bandiera. E' crollata una delle tante barriere e non ci sono salafiti che tengano, gli egiziani e le egiziane hanno alzato la testa.
In Egitto si stima che l'83% delle donne egiziane e il 98% delle straniere abbia subito molestie sessuali. Io non faccio eccezione. Ho parlato e preso provvedimenti, tirato giù santi e anche madonne, ottenuto il licenziamento del colpevole dal suo posto di lavoro. Come conseguenza, ho anche trovato l'amore, ma questa è un'altra storia .
Per me è stato normale comportarmi cosi', per le egiziane (cosi' come per molte sudamericane, indiane etc.), magari, no.
Tant'è vero che Noha Rushdy è stata la prima a denunciare una molestia sessuale nel 2008, non senza subire ulteriori soprusi, emarginazione, controdenunce. Il film parla anche di lei.

C'è una bellissima iniziativa, rappresentata nel dibattito successivo alla proiezione da Engy Ghozlan, che si chiama Harassmap: c
ome dice il nome, il progetto prevede l'aggiornamento in tempo reale di una mappa che raffigura i luoghi dove avvengono gli episodi di molestie sessuali in tutto il paese, ma principalmente al Cairo. Si basa sulle segnalazioni delle molestie inviate via Sms, Twitter, Facebook o direttamente nel sito da parte delle dirette interessate, che vengono poi pubblicate con data, luogo e descrizione di quanto accaduto.
Nei commenti che ho letto al riguardo nella stampa italiana, ho trovato un sottile scetticismo derivante dalla convinzione che i solidi trogloditi egiziani non dovrebbero avere facile accesso alla tecnologia. Bella battuta! Anche nella campagna più sperduta, dove il mezzo di trasporto è ancora l'asino (sì!) ognuno, donne comprese (sì!) possiede almeno 2 telefoni cellulari.


Come ha detto Mohamed Diab dopo il film, la rivoluzione è ancora e più che mai in corso. Elezioni o meno.

mercoledì 7 dicembre 2011

There is a light that never goes out

No, non c'entra la canzone degli Smiths, che pure mi piace tanto.
Giornate pesanti in questa fine 2011. Tempo di resoconti da archiviare soppesando con attenzione attimi di felicità contaminati da qualche scheggia di rimpianto, mentre si guarda avanti oltre la nebbia, cercando di mantenere la testa alta nonostante il peso del macigno che portiamo sulle spalle.
Ma in un attimo può cambiare tutto.
Spesso ti accorgi che basta un poco di luce per dare forma e colore al casino che ti sta intorno. Solo allora, finalmente, puoi iniziare a mettere in ordine.

Giorni fa ho visto un film veramente bello di Tony Gatlif (regista e compositore francese, nato ad Algeri da madre e padre gitani): "Vengo - Demone flamenco". Non ve lo sto a raccontare, dico solo che c'è musica, tanta, c'è lo spirito del flamenco, ci sono il baile, la diversità, la passione, la sangre, e... l'Egitto. Davvero, non è la mia solita fissa!


Guardando "Vengo" infatti ho riscoperto lo Sheikh Ahmad al-Tuni, cantore sufi dell'alto Egitto, per la precisione di Hawatka, vicino Assiut. Classe 1932, è considerato il più grande munshid egiziano (sultàn al munshidìn - inshàd è il canto religioso di ispirazione sufi).
Apro e chiudo parentesi, per chi si immagina un Egitto dove l'islam dei 'barbuti' è predominante: non è così, tra le altre cose c'è anche una vasta, significativa e affascinante tradizione sufi.
Provate ad ascoltarne un po'. Per me è come un raggio di luce.